La Grande Recessione del 2008 & Crypto-Crash del 2022: Storia di Due Tsunami Finanziari

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Di Davide Dal Secco
27 Marzo 2025

Indice

Analizziamo le crisi finanziarie del 2008 e 2022, che hanno colpito finanza tradizionale e criptovalute, evidenziando analogie e differenze nei loro meccanismi.

In questa lezione storica andremo a descrivere sinteticamente cosa accadde in due anni molto particolari, il 2008 e il 2022, che segnarono profondamente la finanza tradizionale e il settore delle criptovalute rispettivamente. Trattasi di due crisi durissime che colpirono interi settori della finanza e dell’economia in modo sistemico e i meccanismi di fondo possono essere concettualizzati, nonché messi a confronto, in quanto sussistono molte analogie, sebbene le circostanze siano diverse.


CRISI NELLA FINANZA TRADIZIONALE

La crisi finanziaria del 2008, nota come “La Grande Recessione” (The Great Recession) o “Global Financial Crisis” (GFC), fu un evento di portata globale che segnò la fine di un’epoca di deregolamentazione e fiducia cieca nei mercati finanziari. La GFC venne causata dalla combinazione di una bolla immobiliare e di un sistema finanziario eccessivamente esposto a strumenti/prodotti finanziari complessi e molto rischiosi e gli effetti delle conseguenze ebbero ripercussioni per molti anni in tutto il mondo.

La crisi del 2008 costituì il culmine di un sistema economico-finanziario deregolamentato, in cui le banche godevano di molta libertà nella creazione di strumenti/prodotti finanziari che spesso non erano forniti delle garanzie adeguate. Infatti dagli anni ‘80 in poi vennero rimosse molte delle restrizioni imposte al sistema bancario dopo la Grande Depressione (e.g. Garn-St. Germain Depository Institutions Act 1982 e Gramm-Leach-Bliley Act del 1999). Alan Greenspan, a capo della Federal Reserve dal 1987 al 2006, promosse una politica di bassi tassi d’interesse e di interventi mirati a sostenere i mercati finanziari (il cosiddetto “Fed Put”). Queste e molte altre circostanze alimentarono il boom del credito e la speculazione nel corso dei decenni, in particolare nel mercato azionario e immobiliare, creando le condizioni per il disastro del 2008.


CAUSE

Negli anni successivi alla bolla dot-com (2000) e all’attentato dell’11 settembre 2001, la Federal Reserve abbassò i tassi d’interesse, come accennato poco fa, dall’6,5% all’1%, facilitando l’accesso al credito per risollevare l’economia reale dalla fase di contrazione in cui versava. Sebbene l’obiettivo fosse quello di rilanciare l’economia statunitense, il ribasso dei tassi di interesse provocò una crescita insostenibile dei valori immobiliari.

Infatti, l’ottimismo di tutti i partecipanti economici e finanziari e la deregolamentazione portarono alla concessione indiscriminata di mutui, anche a soggetti con scarsa affidabilità creditizia (mutui subprime). Inoltre, pratiche come i “ninja loans” (letteralmente: “No Income No Job”, ossia prestiti a persone senza reddito, impiego o garanzie) e la cartolarizzazione dei mutui tramite strumenti finanziari come i CDO (Collateralized Debt Obligations) aumentarono il rischio sistemico.

Le agenzie di rating, tra cui Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch Ratings, in pieno conflitto di interessi, classificavano quei prodotti finanziari come sicuri, contribuendo alla diffusione di un’eccessiva esposizione ai mutui subprime da parte di istituzioni finanziarie di tutto il mondo. Nel 2006-2007, il mercato immobiliare statunitense raggiunse livelli da bolla, quindi la domanda non fu più in grado di sostenere prezzi delle case così alti e difatti questi iniziarono lentamente a calare.

Contemporaneamente, la banca centrale americana aveva alzato i tassi di interesse, portandoli dal 1% nel giugno 2004 al 5,25% nel luglio 2006, rendendo i mutui a tasso variabile insostenibili per molti mutuatari. Ciò causò un’ondata di insolvenze che generò un effetto domino su banche e investitori.


EVENTI RILEVANTI

Nel marzo 2008, Bear Stearns, una delle principali banche d’investimento, crollò sotto il peso delle proprie esposizioni ai mutui subprime e fu acquisita da JP Morgan. Il 15 settembre 2008, il fallimento di Lehman Brothers, con oltre 600 miliardi di dollari di attività, segnò il punto di non ritorno.

La crisi di fiducia si diffuse rapidamente, provocando una corsa agli sportelli (bank run) e il crollo di istituzioni finanziarie in tutto il mondo. Per evitare un collasso totale, il governo degli Stati Uniti intervenne con massicci bailout, utilizzando fondi pubblici per salvare istituzioni considerate “too big to fail”.

Imprese multinazionali americane come AIG (American International Group), una compagnia assicurativa globale che offre polizze su vita, proprietà, incidenti e servizi finanziari, inclusi strumenti derivati e credit default swaps, e GM (General Motors), una delle più grandi case automobilistiche al mondo, che progetta, produce e vende automobili e veicoli commerciali sotto marchi come Chevrolet, Cadillac, GMC e Buick, sarebbero fallite senza il bailout o per esposizione eccessiva ai prodotti finanziari tossici descritti in precedenza o per mancanza di liquidità e/o di credito utile allo svolgimento delle operazioni ordinarie e straordinarie in azienda.

ANALISI A POSTERIORI

La crisi evidenziò i limiti dell’idea che i mercati siano sempre efficienti e autoregolanti. L’assenza di un’adeguata vigilanza, l’uso di strumenti finanziari complessi e il comportamento irrazionale degli investitori portarono a una delle peggiori recessioni della storia moderna. Il bailout del 2008, stimato in 5,7 trilioni di dollari, rappresentò un intervento senza precedenti per salvare il sistema finanziario globale, con conseguenze economiche e sociali durature.

Misurando dal punto massimo al punto minimo, da ottobre 2007 a marzo 2009 l’indice azionario S&P500 registrò il -58% e Nasdaq100 il -54%.

Da giugno 2007 a dicembre 2008 il tasso dell’obbligazione statale a 10 anni degli Stati Uniti passò da 5.3% a 2.0%.

I dati appena forniti vennero superati in pochissime occasioni nel passato, ma il danno vero e proprio venne accusato dall’economia reale e dalle persone comuni, in quanto il tasso di disoccupazione passò dal 5% nel marzo 2008 al 10% nel settembre 2009. Il tasso di disoccupazione sarebbe tornato ai livelli pre-GFC nell’agosto 2015, quindi circa 7 anni dopo.

Ai mercati finanziari europei andò anche peggio, in quanto il Euro Stoxx 50 (SX5E) registrò il -61% dal giugno 2007 al marzo 2009.

Proprio in seguito a questa catastrofica crisi venne creato Bitcoin.




CRISI DEL SETTORE CRYPTO

La crisi del 2022 cominciò nell’anno precedente: quando il prezzo di Bitcoin nel giorno di mercoledì 10 novembre 2021 toccò i $69,000; da quel giorno cominciò il cosiddetto “bear market”, cioè un periodo in cui le quotazioni di un asset o un intero settore (tecnologico, immobiliare, eccetera) subiscono ribassi molto consistenti. Il motivo più importante che determinò la fine della fase espansiva delle quotazioni delle criptovalute, nota come “bull market”, fu il cambiamento della politica monetaria da espansiva a restrittiva della Federal Reserve (FED) e di gran parte delle banche centrali delle economie dei Paesi sviluppati.

Rialzo aggressivo dei tassi di interesse da parte della FED e della BCE – 2022

Come accennato la paragrafo precedenti, la FED aumentò i tassi di interesse in modo aggressivo per contrastare negli USA l’inflazione, che aveva raggiunto livelli mai visti nei precedenti 40 anni, spingendo gli investitori a ridurre l’esposizione su asset rischiosi come le i titoli azionari tecnologici e le criptovalute. Bitcoin e le altre crypto reagirono molto negativamente: BTCUSD registrò un -75% dai massimi del 2021, passando da circa 69.000$ a meno di 16.000$ nel giro di 12 mesi.

La FED, guidata dal presidente Jerome Powell, incrementò i tassi di interesse in modo drastico, passando dallo 0,25% di marzo 2022 a circa il 4,5% entro fine anno, concludendo perciò il programma Zero Interest Rate Policy (ZIRP). Inoltre, sempre la FED diede il via al Quantitative Tightening (QT), che consisteva nella riduzione del suo bilancio lasciando scadere titoli senza reinvestirli, inizialmente con un ritmo di 47,5 miliardi di dollari al mese (30 miliardi di Treasury [obbligazioni statali degli USA e 17,5 miliardi di MBS, cioè Mortgage Backed Securities]). Da settembre 2022, il ritmo venne aumentato a 95 miliardi di dollari al mese (60 miliardi di Treasury e 35 miliardi di MBS).

Riassumendo, la serie di rialzi ebbe un impatto significativo sui mercati finanziari, provocando:

  • L’aumento del costo del denaro, rendendo meno attraenti investimenti speculativi;
  • L’apprezzamento del dollaro USA, che penalizzò gli asset denominati in altre valute;
  • L’aumento del rendimento dei titoli di Stato USA, spingendo gli investitori a preferire asset più sicuri rispetto a Bitcoin e criptovalute.

Anche la BCE, dopo anni di tassi negativi e politiche monetarie molto espansive, dovette seguire una strada simile alla FED. Dopo un lungo periodo di tassi di riferimento a zero o sottozero, la banca centrale iniziò ad alzare i tassi a partire da luglio 2022, chiudendo l’anno con un tasso di riferimento del 2,5%.

Di seguito il grafico dell’andamento dei tassi di interesse della Federal Reserve Bank.


In questo clima finanziario, andiamo a esaminare gli eventi più importanti che interessarono il settore crypto nel 2022, il c.d. annus horribilis, con un impatto diretto sulle quotazioni dei principali asset digitali:

Crollo di Terra (LUNA) e UST – Maggio 2022

L’ecosistema Terra, sviluppato dalla Terraform Labs di Do Kwon, crollò in pochi giorni, spazzando via oltre 40 miliardi di dollari di capitalizzazione di mercato del suo token LUNA. UST, la stablecoin algoritmica emessa dall’ecosistema Terra, perse l’ancoraggio con il dollaro americano, innescando un effetto domino che portò a zero le quotazioni sia della stablecoin stessa sia del token nativo, poiché UST manteneva il suo ancoraggio al dollaro attraverso un meccanismo di arbitraggio con LUNA: quando la domanda di UST aumentava, venivano bruciati token LUNA per coniarne di nuovi e viceversa. Quell’evento scatenò una crisi di liquidità e fiducia in tutto il settore DeFi.

A seguito del top raggiunto a $120 il 5 aprile 2022, nel mese successivo una massiccia vendita di UST determinò la perdita del peg con il dollaro. Il meccanismo di stabilizzazione, invece di ripristinare l’equilibrio, innescò una spirale iperinflazionistica: sempre più LUNA venivano creati nel tentativo di sostenere UST, causando un crollo vertiginoso del prezzo di LUNA da oltre 80$ a meno di un centesimo in pochi giorni. Molti protocolli erano esposti a UST e/o LUNA: la crisi colpì enti centralizzati che prestavano e mettevano in staking criptovalute, hedge fund e investitori retail, generando panico, sfiducia e una serie di fallimenti a catena nel settore nei mesi successivi.


Fallimento di Three Arrows Capital (3AC) – Giugno 2022

Il fondo d’investimento Three Arrows Capital (3AC), uno dei più grandi hedge fund crypto, pesantemente esposto su Terra e altre posizioni altamente leverage, fallì senza dare molto preavviso e la sua insolvenza ebbe ripercussioni su diverse imprese nel settore crypto come Voyager Digital e Genesis, che avevano concesso al fondo prestiti ingenti.

Three Arrows Capital (3AC) fallì a giugno 2022 a causa di una combinazione di eccessiva leva finanziaria, operazioni rischiose e l’effetto domino del crollo di Terra (LUNA) e UST. Il fondo, co-fondato da Su Zhu e Kyle Davies, aveva investito miliardi in vari progetti crypto, tra cui LUNA, GBTC (Grayscale Bitcoin Trust) e stETH (staked ETH su Lido), utilizzando prestiti massicci senza adeguate garanzie.

Dopo il collasso di Terra, 3AC subì perdite miliardarie e non riuscì a onorare i propri debiti, portando all’insolvenza. Il fondo venne successivamente dichiarato in default per oltre 3,5 miliardi di dollari.

La bancarotta di 3AC produsse effetti devastanti sull’intero settore crypto, colpendo numerosi exchange e imprese, tra cui:

  • Voyager Digital, che aveva concesso a 3AC un prestito di circa 650 milioni di dollari (in crypto) e che fallì poco dopo;
  • Genesis Global Capital, che subì perdite pesanti a causa dell’esposizione su 3AC, innescando problemi di liquidità che portarono al suo collasso nel 2023;
  • BlockFi, che accusò danni indiretti e dichiarò fallimento entro la fine dell’anno.

Il caso 3AC mise in luce l’interconnessione e la fragilità del settore crypto in quel periodo. Il fallimento di un singolo grande attore generò effetti a catena devastanti, aggravati dall’uso indiscriminato della leva finanziaria e dalla mancanza di regolamentazione.


Fallimento di Celsius e Voyager Digital – Luglio 2022

La piattaforma di lending Celsius congelò i prelievi a causa di una crisi di liquidità e poco dopo dichiarò bancarotta. Voyager Digital, che aveva esposizioni su 3AC, subì la stessa sorte, lasciando gli utenti senza accesso ai fondi.

Celsius Network, un’altra delle principali piattaforme di crypto lending, annunciò il congelamento dei prelievi nel giugno 2022, citando “condizioni di mercato estreme”. In realtà, Celsius stava affrontando una grave crisi di liquidità dovuta a strategie di investimento ad alto rischio, tra cui:

  • Prestiti non garantiti a istituzioni e hedge fund, tra cui Three Arrows Capital (3AC);
  • Investimenti in asset illiquidi come stETH (staked Ethereum su Lido), il cui valore era sceso significativamente a seguito del crollo del mercato crypto;
  • Mancata gestione del rischio, con un modello di business basato su rendimenti insostenibili (fino al 18% APY).

Dopo settimane di incertezza, nel luglio 2022, Celsius dichiarò ufficialmente bancarotta ai sensi del Chapter 11 (Chapter 11 è un meccanismo per evitare la chiusura immediata di un’azienda in difficoltà finanziarie, concedendole tempo e spazio per riorganizzarsi e tornare alla solvibilità), con un buco finanziario di circa 1,2 miliardi di dollari. Il collasso di Celsius lasciò centinaia di migliaia di utenti bloccati, senza possibilità di accedere ai propri fondi.

Nel frattempo, anche Voyager Digital, una piattaforma di prestito e scambio di criptovalute, subì la stesa sorte, in quanto aveva concesso a 3AC un prestito da 650 milioni di dollari, che non venne mai stato restituito. Senza liquidità per coprire le perdite e far fronte ai prelievi degli utenti, Voyager sospese le operazioni a luglio 2022 e dichiarò fallimento nello stesso mese.

Entrambi i fallimenti evidenziarono i rischi sistemici del settore crypto, dove piattaforme centralizzate come Celsius e Voyager operavano senza trasparenza e con livelli di leva finanziaria insostenibili. Il blocco dei prelievi inoltre sollevò preoccupazioni sulla sicurezza dei fondi depositati nelle piattaforme di lending, minando la fiducia degli investitori.


Collasso di FTX – Novembre 2022

Il colpo di grazia al settore crypto nel 2022 venne dato da FTX, all’epoca uno dei più grandi exchange centralizzati al mondo, che crollò in pochi giorni dopo rivelazioni sulla sua insolvenza e sull’uso improprio dei fondi dei clienti da parte di Alameda Research.
L’exchange FTX, fondato da Sam Bankman-Fried (SBF), era considerato uno degli attori più affidabili e solidi nel settore crypto, con una valutazione di 32 miliardi di dollari di AUM nel suo momento di massimo splendore. Tuttavia, nel novembre 2022, crollò in pochi giorni, rivelandosi una delle più grandi frodi finanziarie nella storia delle criptovalute.
Il tracollo cominciò quando il 6 novembre, il CEO di Binance, Changpeng “CZ” Zhao, annunciò su Twitter l’intenzione di liquidare le partecipazioni di Binance nel token FTT, la criptovaluta nativa di FTX. Quel tweet fece emergere gravi problemi di liquidità nella piattaforma e innescò una corsa agli sportelli, con prelievi per miliardi di dollari in poche ore.
Le indagini successive hanno rivelato che FTX non disponeva più delle riserve necessarie per coprire i fondi degli utenti perché le aveva utilizzate in modo improprio e fraudolento. A causa della sua stretta relazione con Alameda Research, il fondo di investimento di SBF, i depositi dei clienti di FTX erano stati usati per operazioni ad alto rischio, lasciando l’exchange in uno stato di insolvenza totale.

Nel giro di pochi giorni:

  1. FTX sospese i prelievi, alimentando il panico tra gli investitori;
  2. L’11 novembre 2022, l’exchange dichiarò bancarotta, con un buco di oltre 8 miliardi di dollari nei bilanci;
  3. Sam Bankman-Fried venne arrestato poco dopo e accusato di frode e appropriazione indebita;

L’implosione di FTX generò ripercussioni devastanti su tutto il settore crypto:
• Bitcoin (BTC) scese brevemente sotto i 16.000$, il livello più basso da due anni;
• BlockFi, una delle principali piattaforme di prestiti crypto, ha dichiarato bancarotta poco dopo.
• Genesis Global Capital, uno dei più grandi prestatori istituzionali nel settore crypto, ha subito perdite enormi ed è crollato a sua volta.

La fiducia nel settore degli exchange centralizzati (CEX) venne duramente compromessa, spingendo gli utenti a ritirare i fondi su wallet privati e favorendo un aumento della domanda per soluzioni DeFi e Proof-of-Reserves.
L’evento rappresentò un punto di svolta negativo nella storia delle criptovalute, decretando la fine del bear market e intensificando la pressione normativa su tutto il settore.


Problemi di Binance e il panico per le stablecoin – Dicembre 2022

Dopo il crollo di FTX, emersero a quel punto delle preoccupazioni circa la trasparenza e la riserva di liquidità di Binance. Le stablecoin, come USDT e BUSD, affrontarono momenti di stress, con brevi depeg che aumentarono il nervosismo nei mercati. Questi eventi segnarono un anno nero per il settore crypto, riducendo drasticamente la fiducia degli investitori e facendo evaporare centinaia di miliardi di dollari di valore di mercato.

Le preoccupazioni esplosero dopo che:

  • Binance aveva interrotto i prelievi di USDC per diverse ore, citando problemi tecnici legati alla conversione delle riserve;
  • Le “Proof-of-Reserves” pubblicate dall’exchange erano state criticate per essere incomplete e poco trasparenti, senza una reale verifica delle passività;
  • La SEC statunitense indagò su Binance e sul suo token BNB, aumentando l’incertezza normativa.

Quelle tensioni scatenarono un’altra ondata di panico nel settore, portando a prelievi di massa da Binance per miliardi di dollari in pochi giorni.

Tali disastri finanziari determinarono un crollo devastante della capitalizzazione complessiva del mercato crypto, che a dicembre 2022 si attestava sotto 1.000 miliardi di dollari ($1T), un drastico calo rispetto ai 3.000 miliardi ($3T) del picco di novembre 2021.


CONCLUSIONI

Si sono dunque analizzate due situazioni in cui due interi settori finanziari vennero spazzati via nel giro di 12 mesi a causa di una reazione a catena che – nel gergo finanziario – creò un effetto contagio: il settore immobiliare nel caso della finanza tradizionale e le crypto-enterprise centralizzate più importanti del settore crypto.

Nel corso degli anni precedenti alle rispettive crisi era cresciuta lentamente ma costantemente la propensione all’azzardo morale, che in generale consiste nell’attuazione di comportamenti opportunistici a seguito della chiusura di un contratto, inserendo ad esempio clausole ad hoc per raggirare la controparte, da parte di soggetti che erano rimasti nel mercato per selezione avversa, fenomeno tale per cui gli elementi meno rischiosi escono dal mercato a causa della competizione non supervisionata e di asimmetrie informative che li mettevano in una posizione di netto svantaggio.

Alla reazione a catena contribuì sicuramente l’utilizzo spregiudicato della leva finanziaria in entrambi i casi-studio: i partecipanti diretti al mercato erano diventati estremamente compiacenti ed eccessivamente ottimisti e i soggetti preposti al controllo e alla vigilanza erano negligenti e talvolta persino complici di tali comportamenti. Come se ciò non bastasse, si aggiunse anche un circolo vizioso di conflitti di interesse che non vennero controllati e corretti finché la crisi non terminò: ad esempio le agenzie di rating nel 2008 avevano un conflitto di interesse perché venivano pagate direttamente dalle banche di investimento per valutare i loro prodotti finanziari, come i Mortgage-Backed Securities (MBS); questo incentivo economico le spingeva a fornire valutazioni troppo ottimistiche (AAA), gonfiando i rating e contribuendo alla crisi finanziaria.

La regolamentazione rappresenta un fattore-chiave da considerare quando si studiano temi importanti come l’innovazione tecnologica e lo svolgimento delle attività finanziarie, in quanto una regolamentazione troppo stretta e burocratica, come nel caso dell’UE, rallenta o addirittura frena completamente l’innovazione e la libertà tanto dei vecchi quanto dei nuovi partecipanti; nel caso di una regolamentazione troppo accomodante, come nel caso degli USA fino al 2008 e nel settore crypto fino al 2022, ciò che puntualmente accade è l’attuazione di comportamenti fraudolenti o eccessivamente azzardati da parte di alcuni partecipanti ai mercati.

Essendo la finanza globale estremamente interconnessa, ogni evento negativo ha ripercussioni che possono generare l’effetto contagio e provocare danni ingenti anche a soggetti non direttamente coinvolti. La sfida più difficile sta nel trovare l’equilibrio perfetto, ma esistono anche casi in cui non si è politicamente incentivati a trovarlo, poiché è accaduto in passato che lo sviluppo o il regresso di uno o più settori economici sia stato artificialmente incentivato a causa di interessi politici, che quindi aggiungono un livello di complessità in più nella valutazione della qualità della regolamentazione.

Tuttavia, in questi casi bisogna tenere a mente uno dei detti citati spesso a Wall Street: “Buy when there is blood on the streets, even if the blood is your own.” Sostanzialmente, i migliori affari si fanno nei momenti o nei periodi di crisi, poiché le quotazioni degli asset finanziari e/o reali sono a forte sconto e la maggior parte degli attori di mercato e/o economici è in perdita.

Autore: Davide Dal Secco

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