Due Crolli di Mercato a Confronto: 1987 e 2020

Initiate
Di Davide Dal Secco
29 Maggio 2024

Indice

Questa lezione storica analizza e confronta il crollo del mercato azionario del Black Monday del 1987 e il Covid Crash del 2020 nel settore crypto.

Questa lezione è la prima di una serie di lezioni a carattere storico. L’obiettivo sarà pertanto quello di rendere noti ai lettori degli eventi accaduti in passato nella finanza tradizionale che si sono ripresentati recentemente in modi molto simili nel settore crypto. Di seguito analizziamo il crollo del mercato azionario nel “Black Monday” del 1987 e il “Covid Crash” del 2020 per trovare analogie e differenze interessanti.


FINANZA TRADIZIONALE

ENTITA’ DEL CROLLO

L’indice azionario SP500 registrò il -35% dal massimo avvenuto nel 25 agosto 1987 fino al minimo del 20 ottobre dello stesso anno, ma l’evento più eclatante accadde lunedì 19 ottobre, in cui registrò -20% in un solo giorno. Quello del Black Monday fu il più grande crollo sia per oscillazione percentuale sia per velocità da quello del 1929, anno in cui iniziò la Grande Depressione.

Di seguito il grafico di SPX, un notto ETF che replica l’andamento dell’indice azionario SP500

LE CAUSE PRINCIPALI DEL CROLLO

Sicuramente un fattore chiave consistette nella riduzione della liquidità circolante nei mercati finanziari globali. Un’ipotesi valida si trova nella riduzione della liquidità interna ai sistemi economici tedesco e giapponese per timore della risalita dell’inflazione: questo provocò un aumento dei tassi di interesse a livello mondiale e instabilità nei cambi valutari.

Ad un certo punto cominciarono a verificarsi degli eventi apparentemente isolati, ma in realtà collegati tra loro, ad esempio il crollo del mercato obbligazionario giapponese nel settembre 1987, che indebolì il mercato obbligazionario statunitense. Un altro esempio si trova nella disparità, che si era creata dalla fine del 1986 e che si ampliava mese dopo mese, tra i prezzi delle obbligazioni e delle azioni e generalmente quel tipo di divergenza determina elevata instabilità nei mercati; la debolezza del dollaro costituì un altro fattore importante.

A gettare benzina sul fuoco fu Alan Greenspan, Presidente della Federal Reserve[i], che annunciò il 13 ottobre che la bilancia commerciale degli US mostrava segni di un “profondo miglioramento strutturale”; mercoledì 14 ottobre vennero pubblicati dei dati più che deludenti.

In base alla teoria economica, gli Stati Uniti avrebbero dovuto alzare i tassi di interesse, invece James Baker, segretario del Tesoro degli USA, esercitò pressioni sulla banca centrale tedesca affinché fossero loro ad abbassare i tassi di interesse. Le autorità e il governo statunitense decisero di non alzare i tassi di interesse perché temevano una recessione economica, quindi lasciarono che il dollaro si svalutasse.

Come anticipato prima, gli indici azionari americani registrarono un -20% in un solo giorno, ma i mercati azionari di Londra, la Svizzera e Hong Kong andarono ancora peggio. Mentre gli altri mercati azionari a continuavano a raggiungere nuovi minimi nei giorni successivi, il mercato di New York non superò i minimi stabiliti nel climax iniziale di vendita.

L’unico mercato azionario che evitò il crollo fu quello giapponese, poiché le autorità giapponesi fecero di tutto per fermare il panico: acconsentirono persino ai quattro maggiori broker del Paese di dare la licenza di operare per conto proprio, il che significa dare loro la possibilità di manipolare il mercato.

MECCANISMI INTERNI DI MERCATO

Dopo aver capito perché si verificò il crollo, passiamo a come avvenne quell’evento così devastante da far riemergere nella mente delle persone la crisi del ’29. Sostanzialmente, i due problemi principali consistettero nei modelli di trading programmati (program trading), che seguivano una strategia di “assicurazione del portafoglio” (portfolio insurance) e nel panico generalizzato.

Mentre il panico generalizzato è una reazione riscontrata in molte altre situazioni di volatilità estrema, la portfolio insurance costituì una caratteristica del crollo del 1987. A quei tempi, l’assicurazione del portafoglio consisteva in una strategia di copertura volta a limitare le perdite che un investitore avrebbe potuto subire a causa del calo di un indice azionario, senza dover vendere i titoli presenti nel portafoglio stesso.

Questa strategia prevedeva la vendita di contratti futures[i] dell’indice azionario durante i periodi di ribasso dei prezzi. I profitti della vendita dei futures avrebbero contribuito a compensare le perdite irrealizzate del portafoglio.

Ciò che quindi accadde fu l’innescarsi un circolo vizioso (una vera e propria “death spiral”), che sarebbe stato inarrestabile senza un intervento esterno. La dinamica fu la seguente: l’indice azionario cominciò a calare e i programmi di trading aprivano man mano gli short[i] di copertura, ma tali short aumentavano la pressione ribassista, perciò l’indice calava ulteriormente e i programmi di trading aprivano altri short di copertura e così via. Il panico aggravò la situazione.

REAZIONE DELLE BANCHE CENTRALI

Solo la rapida reazione di Alan Greenspan della Federal Reserve Bank (Fed), che tagliò immediatamente i tassi e fornì liquidità ai mercati finanziari, permise alle quotazioni di ridurre la volatilità, cioè di rallentare la velocità del ribasso dei prezzi, nelle settimane successive.

A seguito del Black Monday, per prevenire ulteriori crolli, vennero implementate delle “circuit breakers“, ossia meccanismi che sospendevano le contrattazioni in caso di fluttuazioni eccessive degli indici. Questo strumento avrebbe consentito di calmare i mercati in future occasioni di elevato pericolo, in quanto gli operatori avrebbero avuto il tempo necessario per elaborare le informazioni e prendere decisioni più ponderate.

A causa delle ripercussioni globali del crollo, le banche centrali e le autorità finanziarie di tutto il mondo cooperarono per stabilizzare i mercati globali, condividendo informazioni e coordinando politiche economiche e monetarie.

Quegli interventi contribuirono a frenare il crollo dell’indice azionario SP500 e a ripristinare gradualmente la fiducia nel sistema finanziario. Passiamo adesso al settore crypto.


SETTORE CRYPTO

IL COVID-CRASH

Tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020 la pandemia iniziò a diffondersi a livello globale e la chiusura delle principali economie mondiali, misura scelta dai governi per contrastare il virus, generò panico nei mercati finanziari.

Giovedì 12 marzo 2020 fu il giorno più catastrofico nella storia del prezzo di Bitcoin poiché perse il -40%, passando da $7950 a $4675; se si sommano anche le perdite del giorno successivo, allora si arriva ad un totale di -51%, con un minimo a $3880.

I prezzi variano in base all’exchange[i] che si prende come riferimento, ma le chart riportano più o meno gli stessi prezzi… ad eccezione dell’exchange BitMEX. Di seguito si vede la chart di BTCUSD INDEX, la cui quotazione è una media dei prezzi degli exchange più importanti.

BITMEX SOTTO ACCUSA

Investitori e trader caddero in preda al panico a causa del riconoscimento ufficiale di una pandemia mondiale e della chiusura totale dell’economia (lockdown) e dell’obbligo di rimanere in casa da parte dei governi dei Paesi del mondo. Nel settore delle criptovalute, questa emotività si tradusse in una vendita massiccia dei bitcoin da pare degli operatori di mercato negli exchange centralizzati in cambio di dollari, in quanto nessuno aveva all’epoca la più pallida idea di cosa sarebbe accaduto.

Ciò provocò una rapida discesa del prezzo, la quale a sua volta causò un’enorme cascata di liquidazioni di contratti futures perpetui long, aumentando ancora di più la pressione ribassista (death spiral). L’exchange di BitMEX, un tempo molto popolare, registrò liquidazioni pari a 750 milioni di dollari in bitcoin in pochi minuti.

Il 13 marzo l’exchange venne chiuso per “manutenzione” da Arthur Hayes, CEO di BitMEX, e anche altri exchange all’epoca popolari, come Deribit, Gemini, Huobi, Deribit e Bithumb accusarono difficoltà tecniche.

Alcuni puntualizzarono che anche le borse tradizionali sospendevano le contrattazioni durante i cali massicci, perciò non si capiva come mai bisognava aspettarsi un approccio diverso dagli exchange centralizzati nel settore crypto, ma moltissimi rimasero comunque delusi. BitMEX venne posto al centro di una controversia a causa dell’interruzione dell’operatività, che durò circa 25 minuti. Durante quel periodo di inattività, tra gli operatori del settore crypto si diffusero voci secondo le quali dietro le quinte qualcuno stesse svolgendo attività illecite.

LA DIFESA DI BITMEX

Per fugare i dubbi, il team delle pubbliche relazioni di BitMEX pubblicò un tweet in cui scrisse che la società era venuta a conoscenza di un problema hardware con il loro fornitore di servizi cloud che aveva causato un ritardo nei sistemi di BitMEX. Giustificazioni simili, come un attacco DDoS[i] (Distributed Denial of Service), erano state utilizzate molte volte in passato da altre aziende tecnologiche per schivare le domande quando si verificava un malfunzionamento dei loro sistemi.

Per comprendere meglio la questione, Cointelegraph[i] contattò BitMEX. Un portavoce di BitMEX affermò nuovamente alcuni dei fatti che erano stati precedentemente evidenziati via Twitter e dichiarò che alle 12:56 UTC del 13 marzo 2020, BitMEX aveva subìto un attacco DDoS aggressivo, che ritardò e impedì le richieste di compravendita in arrivo sulla piattaforma.

Quando venne chiesto al portavoce di BitMEX se l’exchange “avesse staccato la spina” ai suoi servizi di trading per paura che il suo motore di liquidazione potesse far crollare il portafoglio ordini di XBTUSD[i] fino a zero, il portavoce dichiarò non solo che non era plausibile, ma che l’exchange era anche dotato di un fondo assicurativo, quindi non c’era niente di cui preoccuparsi.

Infine, il 16 marzo Arthur Hayes intervenne su Twitter per assicurare ai clienti della piattaforma che lui e il team si sarebbero impegnati nel rispondere alle domande in modo trasparente e completo.

LO SPEGNIMENTO DEL LIQUIDATION ENGINE DI BITMEX

Il “liquidation engine” (letteralmente tradotto con «motore di liquidazione») altro non è che è un programma informatico di gestione del rischio che gli exchange delle criptovalute impiegano per evitare perdite significative dovute a posizioni con elevata leva finanziaria nel trading di derivati.

Le liquidazioni delle posizioni long di BTC su BitMEX stavano generando uno spread[i] crescente tra i prezzi offerti dalla piattaforma e i prezzi spot[ii] in altre piattaforme. Molti operatori volevano giustamente sfruttare quell’opportunità di arbitraggio, ma lo spread continuava ad aumentare a causa delle liquidazioni automatiche, perciò si diffuse il timore riguardo a potenziali problemi di liquidità di BitMEX.

Sostanzialmente, il vero motivo dello spegnimento dell’intero exchange, quindi anche del liquidation engine, risiedeva nel fatto che, se fosse rimasto aperto, le balene che stavano shortando Bitcoin avrebbero potuto spingere il prezzo a zero attraverso il sistema di liquidazione automatica di BitMEX.

Per balene si intende investitori e trader (istituzionali e non) che operano con capitali ingenti (milioni e miliardi di dollari), mentre i retail investor e trader sono abituati a cifre più contenute (migliaia e centinaia di migliaia di dollari) che non influenzano quasi mai i prezzi di mercato.

È molto difficile pensare che quelle balene avessero l’intenzione di far crollare il prezzo di Bitcoin a zero; probabilmente si trattava di short di copertura delle loro posizioni spot.

PRECISAZIONI SU BITMEX E ARTHUR HAYES

Alcuni sottolinearono che BitMEX era ben nota per i suoi “errori di presentazione degli ordini”. In altre parole – secondo gli esperti del settore – significa che l’exchange di Hayes si trovava abitualmente di fronte a sovraccarichi di dati che causavano il malfunzionamento del suo sistema, nonché la mancata esecuzione degli ordini dei clienti. Sostanzialmente, la piattaforma di trading si avvaleva di una tecnologia obsoleta e che quindi non era in grado di funzionare correttamente in determinate circostanze. Mentre il prezzo di Bitcoin si riprendeva dal Covid-crash di marzo 2020 e raggiungeva un nuovo massimo storico alla fine dello stesso anno, il CEO di BitMEX, Arthur Hayes, venne condannato a 2 anni di libertà vigilata per riciclaggio di denaro.


EPISODI A CONFRONTO

A distanza di 33 anni i mercati finanziari hanno sperimentato due eventi improbabili, imprevedibili e con conseguenze potenzialmente catastrofiche: in gergo si definiscono dei “Cigni Neri”. Solamente l’intervento di agenti esterni ai mercati riuscirono a contenere i danni e a invertire la spirale ribassista che si generò nel Black Monday del 1987 nell’indice SP500 e nel 12-13 marzo del 2020 sul prezzo di Bitcoin: Alan Greenspan della Federal Reserve nel caso della finanza tradizionale; Arthur Hayes dell’exchange di BitMEX nel caso del settore crypto. Infine, senza quel genere di intervento si può ipotizzare che – nel primo caso – l’intera finanza globale sarebbe potuta collassare e probabilmente l’economia reale sarebbe andata in recessione per molti anni a venire.

Nel secondo caso, se il prezzo di Bitcoin fosse andato a zero sull’exchange di BitMEX, presumibilmente l’exchange più grande del settore sarebbe fallito, poiché tutti gli utenti avrebbero ritirato i loro capitali; inoltre, i prezzi delle Altcoin[i] sarebbero crollati per correlazione al prezzo di Bitcoin e la fiducia negli investitori di quello che allora era un settore appena consolidato avrebbe ricevuto un colpo durissimo. A quel punto, il prezzo di Bitcoin si sarebbe ipoteticamente stabilizzato al livello del minimo del bear market del 2018 (un intorno di $3500) e il settore crypto sarebbe verosimilmente piombato nell’oblio per alcuni anni, ma nel lungo periodo di sarebbe ripreso.

Naturalmente si tratta di ipotesi su come sarebbe andata la storia se non ci fossero stati gli interventi tempestivi citati sopra, però fortunatamente la spirale infernale ribassista fu stroncata in entrambi i casi. La storia non si ripete, ma fa rima.


[i] Altcoin è un termine composto: “Alternative” e “Coin”; in passato vennero create molte criptovalute che avevano l’obiettivo di rimpiazzare Bitcoin, che secondo alcuni aveva dei difetti dal punto di vista tecnologico-informatico che potevano essere superati da – appunto – una moneta alternativa.

[i] Banca centrale degli Stati Uniti d’America.

[i] I contratti futures sono strumenti finanziari derivati che rappresentano un accordo per comprare o vendere un asset (come una materia prima, una valuta, un’azione o un indice) a un prezzo predeterminato in una data futura specifica.

[i] Tipologia di contratto futures che permette l’investitore oppure il trader di vendere allo scoperto un asset con l’intenzione di comprarlo ad un prezzo più basso, guadagnando mentre il prezzo diminuisce.

[i] Un exchange nel settore crypto è equivalente a un broker nella finanza tradizionale, ossia un intermediario che facilita la compravendita di titoli (azioni, obbligazioni, materie prime, valute e così via) guadagnando sulle commissioni di transazione; nel settore crypto gli exchange permettono di scambiare valuta fiat (euro, dollari, ecc…) per criptovalute. I motivi per cui il prezzo di Bitcoin (e delle altre criptovalute) è diverso da un exchange all’altro sono: liquidità, condizioni di mercato locali, strutture di commissioni, tempi di aggiornamento dei prezzi, attività di arbitraggio, regolamentazioni locali e disponibilità di coppie di trading.

[i] Un DDoS è un tipo di attacco informatico che mira a rendere indisponibile un servizio online sovraccaricandolo con un’enorme quantità di traffico proveniente da molteplici fonti diverse.

[i] Un portale di divulgazione specializzato nel settore crypto.

[i] Uno strumento, con relativo grafico del prezzo, che è utilizzabile nell’exchange di BitMEX per fare trading di contratti futures perpetui.

[i] Sinonimo di differenza.

[ii] Il prezzo corrente di un asset finanziario per una transazione immediata, determinato dalle condizioni di mercato attuali.

Autore: Davide Dal Secco

Ti è piaciuto l'articolo?

Condividilo sui social