Due Bull Run a Confronto: 1997-2000 e 2015-2018

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Di Davide Dal Secco
10 Luglio 2024

Indice

Questa lezione storica analizza e confronta la "IPO mania" durante la bolla delle dot-com e la "ICO mania" durante la bolla speculativa nel settore crypto del 2017.

In questa lezione storica andremo a descrivere un fenomeno accaduto nella finanza tradizionale tra il 1997 e il 2000 e un altro molto simile avvenuto nel settore crypto tra il 2015 e il 2018. Trattasi nel primo caso della “IPO mania” e nel secondo caso della “ICO mania”.

Durante la IPO mania e ICO mania, i mercati finanziari sperimentarono una vera e propria “bull run”, che significa letteralmente “corsa del toro”: è un’espressione, nota anche nella finanza tradizionale, che nel settore crypto si riferisce alla formazione di una bolla speculativa che comincia con il rialzo esponenziale del prezzo di Bitcoin prima del cosiddetto halving, ossia il dimezzamento del quantità di bitcoin emessi alla validazione di ogni blocco della blockchain ogni 10 minuti, evento che avviene ogni 4 anni.


FINANZA TRADIZIONALE

CONTESTO STORICO ED ECONOMICO

Gli anni ’90 furono un periodo di crescita economica robusta, soprattutto negli Stati Uniti. A seguito della caduta del Muro di Berlino nel 1989 e della disgregazione dell’URSS nel 1991, l’economia statunitense si trovò davanti a rischi geopolitici praticamente azzerati, tassi di interesse relativamente bassi, basso tasso di inflazione e una rapida innovazione tecnologica.

Sempre nel 1991, la pubblicazione del primo sito web al mondo dal CERN di Ginevra da parte dell’informatico Tim Berners-Lee scosse il mondo, poiché quell’evento portò alla creazione di numerose startup tecnologiche, che cercavano di introdurre nell’economia prodotti innovativi legati ad internet e alle tecnologie digitali. Il nuovo millennio era dietro l’angolo e moltissimi credevano che avrebbero trovato l’idea che avrebbe cambiato il paradigma economico-finanziario e – in alcuni casi – il mondo intero.

Le condizioni favorevoli furono supportate anche da un ambiente normativo molto rilassato, che facilitò l’accesso ai mercati finanziari: dalla metà degli anni ’80 era in corso un processo di “deregolamentazione” della finanza statunitense che, unito all’introduzione di nuove tecniche di trading e finanziamento, produsse un aumento costante dell’interesse di investitori e speculatori.


IPO MANIA

Una “IPO” è tecnicamente una Initial Public Offering (IPO), in italiano un’Offerta Pubblica Iniziale, che consiste in un processo attraverso cui un’impresa privata vende, per la prima volta, le proprie azioni al pubblico, trasformandosi da società privata a società per azioni (S.p.A.) quotata in borsa. L’obiettivo principale di quotarsi in borsa consiste nel poter accedere ad ampie quantità di capitale, ma bisogna sobbarcarsi i costi elevati di quotazione e i costi derivanti dagli obblighi di informativa (pubblicazione dei bilanci).

L’IPO mania raggiunse il suo apice tra la metà e la fine degli anni ’90, con un numero senza precedenti di imprese che si quotavano nei mercati finanziari. Molte delle nuove quotazioni erano di aziende del settore tecnologico, in particolare legate a internet e al Web 1.0, che promettevano crescita esplosiva nonostante spesso avessero scarsissimi utili (o addirittura perdite nette) al momento dell’IPO; alcune di quelle non superarono il test del tempo, come Netscape (IPO nel 1995), mentre altre riuscirono a costruire un business solito e a prosperare, come Amazon (IPO nel 1997).

In molti casi, l’afflusso di ingenti capitali permise a molte imprese del settore tecnologico di espandersi rapidamente, investendo in ricerca e sviluppo (R&D), marketing ed espansione internazionale. Questo portò a innovazioni che ebbero effetti di lungo termine sull’economia, trasformando vari settori come il commercio (e-commerce), le comunicazioni e l’intrattenimento. L’idea era quella di costruire la “New Economy”.

Il boom delle IPO portò a una crescita esponenziale dei mercati azionario, ma fu l’indice Nasdaq100 a registrare la performance più incredibile: circa poco più del +1000% dal 1995 al 2000. L’indice Nasdaq100 – raffigurato qui sotto nel periodo della bolla speculativa – è uno strumento finanziario che rappresenta l’andamento dei 100 titoli tecnologici (riferiti a imprese come Apple, Microsoft, e così via) più capitalizzati nella borsa degli Stati Uniti.

Gli investitori e gli speculatori, attratti dai potenziali lauti profitti, spesso compravano azioni di IPO senza svolgere un’attenta analisi fondamentale. Dal momento che molte di quelle società quotate tramite IPO erano state fondate tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, era effettivamente quasi impossibile investire rispettando i criteri classici di analisi di una società quotata, quali redditività, crescita, posizione finanziaria, dividendi e storico dei prezzi, poiché non esisteva abbastanza storico da analizzare.

Tutti questi fattori, uniti alla mancanza di una regolamentazione adeguata, contribuirono alla formazione di quella che in seguito venne chiamata “bolla delle dot-com” o anche “bolla di internet”.


CRESCITA E SCOPPIO DELLA BOLLA

Il nuovo millennio si avvicinava e alcuni attori di mercato realizzarono che:

  • Molti modelli di business erano insostenibili, ossia continuavano a registrare perdite nette anche gravi;
  • Investitori e speculatori compravano titoli tecnologici mossi dalla FOMO (paura di restare fuori dal mercato);
  • La liquidità negli order book cominciava a scarseggiare, segno che i prezzi erano troppo elevati per giustificare nuove allocazioni di capitale;
  • I manager di quelle società appena quotate tramite IPO erano incompetenti oppure erano solamente interessati alla crescita del prezzo del titolo dell’impresa stessa, quindi non volto al successo dell’impresa nel lungo periodo.

Inoltre, Alan Greenspan, il presidente in carica dal 1987 al 2006 della Federal Reserve, che è la banca centrale degli Stati Uniti, alzò i tassi di interesse dal 3.0% nel 1993 al 6.5% nel 2000, in quanto l’economia – come descritto sopra – e i mercati finanziari statunitensi si erano surriscaldati e il rischio di risvegliare l’inflazione, che il era stata sperimentata negli anni ’70, era aumentato. Alzando i tassi di interesse, il valore attuale dei flussi di cassa futuri delle imprese si ridusse notevolmente e aumentò considerevolmente il costo del debito: una combinazione fatale che stroncò la IPO mania, soprattutto se si considera che la maggioranza di quelle società appena quotate erano “profitless”, ossia non generavano utili netti al momento della quotazione.

Nel mese di marzo del 2000, la bolla delle dot-com scoppiò, portando a un drastico calo dei mercati azionari e alla bancarotta di molte aziende tecnologiche. Questo ebbe un effetto domino sull’economia reale in quanto si verificò una lieve contrazione economica.

L’indice tecnologico Nasdaq100 registrò un crollo del -83% dal massimo di marzo 2020 al minimo di ottobre 2002. La Federal Reserve decise di abbassare i tassi di interesse dal 6.5% nell’estate del 2000 al 1% nell’autunno del 2003 per supportare sia l’economia sia i mercati. Ad esempio, il prezzo delle azioni di Cisco Systems Inc. (CSCO), una delle imprese leader del settore tecnologico all’epoca, passò da $5 nel 1997 a $82 nel 2000, un aumento di circa il 1500%; tuttavia, CSCO registrò un -90% dal 2000 al 2002.

L’IPO mania degli anni ’90 fu un periodo di intensa attività nei mercati finanziari e di trasformazioni significative nell’economia reale. Se da un lato portò a notevoli innovazioni e crescita economica, dall’altro culminò in una bolla speculativa che causò gravi conseguenze quando scoppiò. Nonostante i fallimenti di molte aziende, le fondamenta poste durante questo periodo continuarono a influenzare positivamente l’economia digitale nei decenni successivi.



SETTORE CRYPTO

PERIODO PRECEDENTE AL 2015-2018

Trascorsi circa 20 anni dalla bolla delle dot-com, mutatis mutandis, un nuovo settore ad altissima innovazione tecnologica si fece strada nel mondo: le criptovalute. Tutto cominciò con il lancio di Bitcoin tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009, periodo in cui il settore crypto era praticamente inesistente. Durante la prima bull run del prezzo di Bitcoin accaddero degli eventi molto rilevanti:

  • Nel 2010 venne fondato l’exchange Mt. Gox, che all’epoca era il più grande per volumi di scambio;
  • Nel 2012 venne lanciata Ripple (XRP), la prima e più imponente criptovaluta centralizzata;
  • Nel 2013 venne creato Dogecoin (DOGE), la prima memecoin al mondo;
  • Nel 2013 venne emesso il Grayscale Bitcoin Trust (GBTC), il primo prodotto finanziario adatto a investitori istituzionali.

Il 2014 e il 2015 costituirono un periodo di ribasso importante per il prezzo di Bitcoin, che infatti registrò all’incirca un -85% a causa di un attacco hacker all’exchange Mt. Gox, dal quale vennero rubati più o meno 850.000 bitcoin. Quell’evento rappresentò un durissimo colpo nella fiducia che investitori, speculatori e sviluppatori avevano per quel settore appena nato, ma il mercato riuscì a riprendersi col tempo.

Un importante veicolo per facilitare l’espansione del settore crypto fu il lancio di Tether (USDT) nel 2014: la prima stablecoin nel settore crypto per volumi di scambio, che permise agli investitori e speculatori di negoziare agevolmente bitcoin e le altcoin e permise agli exchange centralizzati e decentralizzati di offrire più servizi rispetto a prima.


ICO MANIA

La “ICO mania” (Initial Coin Offering) si sviluppò in particolare nel biennio 2017-2018, un periodo caratterizzato dalla nascita di numerosissime nuove start-up innovative e da una frenesia speculativa che attirò l’attenzione di investitori professionali e non di tutto il mondo. Le ICO, similmente alle IPO, sono un metodo di raccolta fondi utilizzato tutt’ora, tale per cui le startup ottengono finanziamenti emettendo nuove criptovalute/token, basati sulla propria blockchain, ricevendo i bitcoin oppure gli ether degli investitori iniziali, che sono asset accettati universalmente nel settore crypto, in cambio delle criptovalute/token prima del lancio sul mercato. A seguito della quotazione, se il progetto che proponeva il team di sviluppatori veniva ritenuto valido dagli attori di mercato, il prezzo della criptovaluta/token in questione andava alle stelle.

Il numero di ICO lanciate sul mercato divenne presto esponenziale. Molte startup utilizzarono il veicolo della ICO come un modo per bypassare i metodi tradizionali di finanziamento; secondo alcuni report, le ICO raccolsero oltre 6 miliardi di dollari solo nel 2017.

Cominciò quindi un self-reinforcing process che portò ad una bolla speculativa che raggiunse proporzioni bibliche per l’epoca. Essendo i bitcoin e in parte gli ether i principali mezzi di scambio nel settore crypto in quel periodo, la bull run partì proprio dal rialzo esponenziale dei prezzi di quei due principali cryptoasset per capitalizzazione, dopodiché la liquidità fluì verso le ICO.

Il mercato delle “altcoin” era ufficialmente nato. In teoria, una “alternative coin” è una moneta digitale creata per sostituire bitcoin, asset che molti appassionati del settore ritenevano fosse ormai obsoleto dal punto di vista tecnologico. Nonostante ciò, molte altcoin avevano obiettivi diversi da quello di rimpiazzare bitcoin: nella bull run del 2020-2021 l’utilizzo delle altcoin si spostò dal sostituire bitcoin a sviluppare settori nuovi, come il metaverso, il gaming e gli NFT.

Purtroppo, essendo il settore crypto scarsamente regolamentato nel 2015-2018, molte ICO si rivelarono essere frodi oppure progetti senza un reale valore tecnologico-commerciale. La pratica di raccogliere fondi e sparire con il denaro degli investitori divenne tanto famosa che le venne attribuito un nome, cioè “rug pull”, che letteralmente significa “tirare il tappeto” (da sotto i piedi).

Com’era lecito aspettarsi, la crescita incontrollata delle ICO attirò l’attenzione delle autorità di regolamentazione in tutto il mondo. Paesi come la Cina e la Corea del Sud presero misure drastiche, vietando le ICO e imponendo regolamenti severi per proteggere gli investitori retail. Anche la Securities and Exchange Commission (SEC) degli Stati Uniti intervenne e classificò molte ICO come offerte di titoli non registrati.

Nonostante i problemi e le frodi, alcune ICO ebbero successo e permisero lo sviluppo di progetti e piattaforme importanti nel settore delle criptovalute. Ad esempio, Ethereum stesso era stato finanziato tramite una ICO nel 2014 e molte delle ICO del 2017 si concentrarono nel campo delle applicazioni decentralizzate (dApps). Nello stesso anno venne creato lo standard ERC-20 e venne codificata la procedura di creazione di un cryptoasset sulla blockchain Ethereum: il lancio di MakerDAO ne fu un esempio, in quanto venne introdotta DAI, la prima stablecoin basata sulla blockchain di Ethereum.

Il periodo della mania delle ICO del 2017-2018 fu un momento di crescita tumultuosa e speculazione nel settore delle criptovalute, che produsse effetti duraturi sia positivi sia negativi sul mercato. Le criptovalute dimostrarono al mondo intero non solo il loro potenziale come asset tecnologicamente innovativo dal prezzo volatile, ma anche la necessità di regolamentazione e di protezione degli investitori.

Interessante che il grafico lineare del prezzo di Bitcoin nella ICO mania sia molto simile a quello dell’indice Nasdaq100 nella IPO mania.


FINE DELLA BULL RUN E CAPITOLAZIONE

Il prezzo di BTCUSD (il grafico che rappresenta il prezzo di Bitcoin espresso in dollari americani), partendo da un minimo di $150 nel gennaio del 2015, toccò il massimo storico dell’epoca a dicembre del 2017 a $19.500 circa (un incremento di circa il +12.800%), mentre Ethereum, partendo da un minimo di $0.4 nell’ottobre 2015, arrivò a gennaio del 2018 a $1.420 (un incremento di circa il +335.200%).

Tuttavia, ogni bolla speculativa è destinata a scoppiare, poiché nessun trend di mercato (rialzista, ribassista, laterale) dura per sempre.

Nel caso della bull run del 2015-2018, l’euforia terminò bruscamente con l’epocale “sell the news” a seguito dell’approvazione da parte della SEC del CME Futures Bitcoin ETF: per la prima volta nella storia del settore crypto, la finanza tradizionale aveva manifestato concretamente l’intenzione di integrare la più importante criptovaluta al mondo nel sistema finanziario e lo fece attraverso un prodotto adatto a investitori istituzionali, cioè un fondo negoziabile al Chicago Merchantile Exchange, una borsa americana specializzata nei derivati.

Dato che generalmente i prezzi degli asset finanziari non scendono mai lentamente, il prezzo di un bitcoin in dollari americani perse il -84% in soli 12 mesi, da dicembre 2017 a dicembre 2018. A Ethereum andò peggio: registrò il -94% da gennaio 2018 a dicembre 2018. Quasi tutti i prezzi delle altcoin persero dal -90% al -100% rispetto ai propri massimi storici e molte di esse non si risollevarono mai più.

Cosa scatenò realmente il bear market del 2018? Alla fine del 2015, il tasso di interesse della banca centrale americana (Federal Reserve Bank) era quasi a zero. Come nel caso della IPO mania, il rialzo dei tassi di interesse causò il raffreddamento dei bollenti spiriti nei mercati finanziari: a gennaio del 2019 arrivò al 2.5%. Dopo ben 7 anni di politica monetaria espansiva, la Fed, a seguito dello ZIRP (Zero Policy Interest Rates, ossia una politica monetaria con tassi di interesse a zero) e del QE (Quantitative Easing, che si riferisce ad un piano di iniezione di liquidità tramite l’acquisto di titoli obbligazionari da parte della banca centrale), aveva cominciato un nuovo “tightening cycle”, cioè un nuovo ciclo di rialzo dei tassi di interesse, ma i mercati finanziari non erano pronti.

Il contesto stava pertanto cambiando, ma fu un evento devastante a dare il via al bear market (mercato orso, cioè un trend ribassista del prezzo che perdura per molti mesi) del 2018. Dai primi giorni di gennaio del 2018, il VIX, l’indice della volatilità dell’indice azionario S&P500, cominciò a salire ogni giorno più velocemente, fino a raggiungere i 50 punti il 6 febbraio del 2018. Generalmente, più il valore del VIX sale e più le quotazioni dei titoli azionari scendono. Ebbene, il livello dei 40 punti è considerato universalmente come un valore che indica la presenza di panico tra gli attori di mercato, perciò raggiungere i 50 punti rappresentò un fatto veramente estremo. Infatti, nello stesso periodo, l’indice S&P500 registrò il -12% dai massimi storici in solo 6 sessioni di trading. Come si evince dall’immagine seguente, anni e anni di bassa volatilità permisero ad un sentimento di avidità e compiacenza di farsi strada nell’animo di investitori e speculatori, finché la realtà non colpì duramente e inaspettatamente.

Nella finanza tradizionale, quel crollo nei primi due mesi del 2018 venne chiamato “Volmageddon”, ossia l’Armageddon della volatilità, che era esplosa non solo per ragioni fondamentali, come i tassi di interesse più alti, ma anche per l’eccessiva esposizione degli operatori di mercato alle opzioni: in parole povere, la maggioranza di essi scommetteva che la volatilità (VIX) sarebbe rimasta bassa per un tempo indefinito, ma i mercati sorprendono sempre chi non è attento.

Bitcoin, che ormai si stava correlando ai mercati classici in termini di price action, aveva segnato i massimi storici a metà dicembre del 2017 a causa dell’approvazione e lancio del Futures ETF al CME e trovò un minimo locale importante a circa 50 giorni di distanza, ossia proprio nei primi giorni di febbraio del 2018, totalizzando un -70% dal massimo storico: fu la prima gamba ribassista del prezzo di bitcoin, a cui seguì un rimbalzo del +100% e la prosecuzione del trend ribassista.



EPISODI A CONFRONTO

Il mercato azionario statunitense e il settore crypto si sono dimostrati ancora una volta ambienti interessanti per studiare la natura umana, che non è stata in grado di uscire dal ciclo infinito della paura e dell’avidità: come in un loop infernale, i prezzi degli asset aumentano prima lentamente poi velocemente e lo stesso processo si ripropone per l’euforia nell’animo degli investitori e degli speculatori, dopodiché si sperimenta un breve periodo di compiacimento in cui i prezzi cominciano a invertire i trend rialzisti, infine la bolla speculativa scoppia e alla paura iniziale segue il panico.

A circa 20 anni di distanza, si verificarono in due casi distinti le condizioni favorevoli al proliferare di start-up e imprese che avevano poca oppure zero utilità nel mondo reale e che si quotarono sui mercati finanziari per cercare finanziamenti. Molte persone riuscirono a cambiare la loro vita con i profitti generati dai loro investimenti, ma le perdite successive furono estremamente gravi. La regolamentazione rilassata, la nascita di un settore tecnologico innovativo e un ambiente macroeconomico decisamente espansivo costituirono la miscela perfetta per una bolla speculativa basata su internet e una sulla blockchain.

Autore: Davide Dal Secco

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